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Trinitapoli, il velo di riservatezza sullo scioglimento del Consiglio comunale solleva interrogativi

TRINITAPOLI - Sono trascorsi ben 15 mesi dall’insediamento della Commissione straordinaria per la gestione del Comune, in sostituzione del Sindaco, della Giunta e del Consiglio, ma è ancora molto scarsa la conoscenza da parte dei cittadini delle ragioni dello scioglimento del Consiglio comunale, della identità degli amministratori coinvolti, degli ambiti in cui la Prefettura ha accertato “elementi concreti, univoci e rilevanti” di collegamento con la criminalità, delle azioni poste in essere dalla Commissione straordinaria per ripristinare la legalità. Naturalmente, mi riferisco ai cittadini più attenti e sensibili alla sorte della politica locale, mentre non escludo che coloro i quali hanno ripudiato la politica dall’ambito dei loro interessi abbiano ravvisato nel commissariamento del Comune una ulteriore motivazione del loro disinteresse. L’astensione nella ultima competizione elettorale ha raggiunto livelli preoccupanti.

Le domande che corrono di bocca in bocca riguardano innanzitutto l’identità degli amministratori coinvolti e gli addebiti specifici loro contestati. In tanti si dichiarano fortemente perplessi per il fatto che il Governo abbia sciolto il Consiglio comunale nonostante gli amministratori non risultino nel contempo indagati per reati contro la pubblica amministrazione e i pubblici dipendenti neanche sfiorati dalla inchiesta, benché titolari esclusivi della gestione amministrativa. Le perplessità aumentano quando i cittadini apprendono che la magistratura ha dichiarato ben tre amministratori (Emanuele Losapio, Roberto Di Feo e Maria Grazia Iannella) non candidabili in qualunque competizione elettorale per i prossimi 10 anni. Domande legittime ma per troppo tempo rimaste inevase dando la stura a illazioni, a congetture, a ricostruzioni fantasiose tanto più bizzarre quanto più la gravità delle questioni richiederebbe informazioni chiare e ben circostanziate.

A questo punto cercherò di fornire alcuni chiarimenti nei limiti della conoscenza degli atti di una procedura che si è svolta e si svolge in un clima inaccettabile di riservatezza al di fuori delle regole di pubblicità, di contraddittorio e di equa distribuzione dell’onere della prova.

Va subito chiarito che la procedura che ha portato il Governo a sciogliere il Consiglio comunale di Trinitapoli è una procedura amministrativa di prevenzione e non un procedimento penale. Nella sentenza del Tribunale Amministrativo, a tal proposito, si legge: “...va rammentato che il provvedimento di scioglimento è una misura straordinaria, di carattere non sanzionatorio bensì preventivo per affrontare una situazione emergenziale (cfr. Corte Cost, 19 marzo1993, n.103) e finalizzata alla salvaguardia della amministrazione pubblica di fronte alla pressione e alla influenza della criminalità organizzata (v. Cons. Stato sez III, 15 dicembre 2021, n.8362). L’interesse curato dalla amministrazione statale è di rango talmente elevato che il potere nell’apprezzamento degli elementi fattuali posti a base della decisione di scioglimento di un ente locale democraticamente eletto è particolarmente ampio, andando anche oltre le responsabilità dei singoli amministratori”.

Una eventuale responsabilità penale ravvisabile negli atti e/o nelle omissioni degli amministratori comunali che hanno provocato lo scioglimento del Consiglio comunale resta di competenza della Magistratura penale che agirebbe secondo le proprie regole. La dichiarazione di incandidabilità è, invece, di competenza della Magistratura civile su iniziativa della Prefettura territoriale.

Altri chiedono perché la Prefettura ha chiesto la incandidabilità dell’ex sindaco Losapio e degli ex assessori Roberto Di Feo e Maria Grazia Iannella e non dell’ex sindaco Francesco Di Feo. La domanda sorge spontanea, perché la Commissione prefettizia ha indagato sulla gestione del Comune dal 1° gennaio 2016 al 29 luglio 2021 e cioè sui 54 mesi della gestione Di Feo ed appena sui 9 mesi della gestione Losapio.

La domanda viene posta con maggiore insistenza quando si legge che i tre amministratori vengono dichiarati non candidabili sostanzialmente per non avere contrastato le iniziative dell’ex sindaco Francesco Di Feo che determinarono lo scioglimento del Consiglio comunale.

La risposta poco convincente è che l’ex sindaco Francesco Di Feo non è stato colpito dalla incandidabilità perché si dimise dalla carica prima dell’accesso della Commissione prefettizia e perché non si candidò nell’ultima competizione elettorale comunale.

Ci si interroga anche sulla legittimità e opportunità della riservatezza che circonda la procedura di scioglimento del Consiglio comunale. Ci risulta che con fatica e limitazioni anche i diretti interessati e i loro difensori abbiano potuto accedere al fascicolo processuale ed estrarne copia. Ci si domanda se la tutela della privacy può essere invocata a giustificazione fino a negare il diritto alla difesa. In parole semplici, sarebbero legittimati a conoscere tutti gli atti soltanto 6 persone e cioè i tre componenti della Commissione di accesso che svolse gli accertamenti sulla gestione, il Prefetto della BAT, il Ministro dell’Interno e il Presidente della Repubblica che firmò il decreto di scioglimento e, in caso di contenzioso, anche i giudici del Tribunale Amministrativo e del Consiglio di Stato. Ai cittadini non è consentito sapere perché il Consiglio è stato sciolto e né per colpa di chi.

L’art 143 del Testo unico sugli Enti Locali andrebbe riformato con urgenza.

ANTONIETTA D’INTRONO